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Nell’ambito di Arch Week 2018, il principale evento sul tema urbanistica e progettazione architettonica organizzato a Milano, è stata inaugurata alla Triennale la mostra “Luigi Ghirri. Il paesaggio dell’architettura”; il curatore, Michele Nastasi, ha voluto offrire una presentazione inedita del celebre fotografo emiliano mettendo in luce l’importanza della sua opera nell’ambito dell’architettura. L’importanza di Ghirri nel panorama della fotografia italiana è, in realtà, legata ai suoi paesaggi, un po’ fiabeschi, un po’ malinconici, racconti di un’Italia sospesa, onirica, dal sapore felliniano. Il suo progetto più importante, Viaggio in Italia, immortala magistralmente l’Italia anni ’70, fondendo caratteri naturali e artificiali, mettendo in mostra l’ambiguità del paesaggio contemporaneo, la citazione della storia e l’immaginario del consumo, tema caro al dibattito intellettuale dell’epoca.
Ma il fotografo emiliano ha messo posto il suo obbiettivo anche su monumenti e grandi architetture, mostrando anche in questo ambito un punto di vista originale e unico. Proprio dei “paesaggi di architettura” si occupa la mostra in Triennale, tutto il materiale della mostra ha origine dal fondo conservato nell’archivio di Lotus international, rivista con cui Ghirri ha collaborato per circa dieci anni a partire dal 1983 (anno in cui riceve l’incarico di fotografare il cimitero di Modena di Aldo Rossi), e comprende oltre 350 fotografie tra stampe originali e proiettate (molte sono inedite), integrate da esemplari delle pubblicazioni originali, testi e materiali di lavoro. L’incontro con Lotus, che porterà Ghirri a realizzare diversi servizi fotografici su singoli interventi architettonici, a fotografare le esposizioni della Triennale (cui partecipa anche come autore e curatore), e anche a curare progetti editoriali – è la conferma che il suo sguardo asciutto ha dato forma e ispirazione a future generazioni di fotografi interessate ai paesaggi urbani e architettonici. I suoi paesaggi sospesi e metafisici, l’immediatezza degli scatti dai toni particolarmente delicati, tenui, con contrasti molto bassi e ombre quasi inesistenti, sono la cifra stilistica della sua opera, ben visibile già dai primi scatti al monolitico cimitero di Modena di Aldo Rossi.

LUIGI GHIRRI

Il linguaggio di Ghirri è veramente unico nel vasto panorama della fotografia di architettura, una disciplina che ha acquisito nel corso del tempo sempre più importanza, grazie al successo nel dibattito architettonico di riviste come Lotus, e grazie all’evoluzione degli ultimi anni dei metodi di progettazione che pongono sempre più attenzione al valore dell’immagine come momento progettuale cardine dell’intero processo di composizione. La commercializzazione del progetto, la facilità di mostrare l’architettura a massimi gradi di veridicità, prima ancora che venga posta una pietra, grazie ai moderni metodi di renderizzazione pongono sempre maggiore importanza sull’aspetto fotografico dei manufatti architettonici; proprio per questi motivi crediamo sia importante conoscere alcuni, tra i molto possibili, sguardi fotografici che hanno raccontato e raccontano i progetti e le città fino ai più piccoli elementi progettuali. Proponiamo quindi, di seguito, alcuni autori, alcuni sguardi, diversi ma importanti come quelli di Luigi Ghirri, per delineare alcuni dei livelli e dei caratteri possibili della fotografia di architettura.

 

GABRIELE BASILICO

Per molti il nome Gabriele Basilico è sinonimo di fotografia di architettura, di cui è stato senza dubbio il più importante esponente italiano. Basilico ha dedicato l’intera carriera al racconto del paesaggio industriale e delle aree urbane, raccontando la storia e l’evoluzione dell’architettura e del paesaggio italiano degli ultimi decenni. Ma non solo l’Italia, il fotografo milanese ha immortalato molte tra le più importanti città del mondo, tra cui Amburgo, Barcellona, Bari, Beirut, Berlino, Bilbao, Francoforte, Genova, Graz, Istanbul, Lisbona, Liverpool, Losanna, Madrid, Montecarlo, Mosca, Napoli, Nizza, Palermo, Parigi, Roma, Rio de Janeiro, Rotterdam, San Francisco, San Sebastian, Shanghai, Torino, Trieste, Valencia, Zurigo. Sta proprio in questo lungo elenco il valore romantico dei suoi inizi nell’estate del 1969 a Glasgow, in Scozia, quando Gabriele Basilico era ancora uno studente di architettura. Ma fu quel viaggio a segnare l’inizio della sua carriera di fotografo. Scattò un unico rullino da cui si capiva già il fascino che nutriva per la fotografia sociale, tra cui quella di Bill Brandt (1904-1983), uno dei maggiori fotografi che raccontò la società britannica.  Dopo di questo evento i suoi molti reportage, tra cui si ricordano Ritratti di fabbriche, dedicato alle aree industriali milanesi, e Beirut 1991 realizzato nella città libanese martoriata dalla guerra, lo portano nell’olimpo dei fotografi di paesaggi urbani.
Ed è lo stesso Basilico a spiegare la sua tecnica: “Che fotografo sono? Sono un misuratore di spazi: arrivo in un luogo e mi sposto come un rabdomante alla ricerca del punto di vista. Cammino avanti e indietro, la cosa importante è cercare la misura giusta tra me, l’occhio e lo spazio. L’azione fondamentale è lo sguardo, la foto è la memoria tecnica fissata di questo sguardo. Ma c’è bisogno di tempo, la foto d’eccellenza è contemplativa”.
La fotografia non è, quindi, solo uno strumento di comprensione dello spazio ma anche un modo per comprendere il tempo. Basilico lavora per lo più con banco ottico e pellicole in bianco e nero, attraverso immagini prive della presenza umana, caratterizzate dalla precisione dell’inquadratura e da forti contrasti, riuscendo a costruire nuove prospettive e nuove ipotesi di lettura dello spazio.

 

ANDREAS GURSKY

Un linguaggio completamente differente è quello di Andreas Gursky; il fotografo tedesco ritrae luoghi e scene che raccontano la vita di oggi e l’economia globale con l’obiettivo di creare attraverso le foto, come ha spiegato lui stesso, una sorta di “enciclopedia della vita”. Anch’egli non ha dedicato la sua opera solo a foto di architettura, ma in questo ambito ha espresso un punto di vista peculiare ed unico che indaga il valore stesso dell’architettura e delle costruzioni umane, di cui spesso ci mostra il lato più disumano.
Dal punto di vista tecnico Gursky è noto per i suoi scatti di grandissimo formato che ritraggono contesti quotidiani, dove l’ampio respiro delle location è controbilanciato da un’attenzione quasi maniacale al dettaglio e alla ripetizione. Il suo sguardo fotografico è spesso caratterizzato dalla prospettiva a volo d’uccello, che da vita attraverso un  microcosmo di cose o persone disposte in insiemi geometrici e quasi maniacalmente allineati a pattern spesso ripetitivi che raccontano in modo diverso lo stesso tipo di angoscia e alienazione del quotidiano.

 

IWAN BAAN

Il fotografo olandese Iwan Baan rappresenta al meglio il senso contemporaneo della fotografia di architettura, di cui è, in effetti, considerato uno dei rappresentanti più importanti. La sua è una fotografia patinata, da rivista, dei più grandi architetti contemporanei, da Toyo Ito a Rem Koolhaas. Vincitore del Leone D’oro per la migliore installazione alla Biennale di Venezia del 2012 con la sua celebre foto di Manhattan mezza al buio dopo il passaggio dell’uragano Sandy, ha un carattere internazionale unico che lo ha portato a esporre molte delle sue opere in importanti mostre in giro per il mondo e a pubblicare le sue opere sulle riviste più importanti.

 

UGO MULAS

Personalità singolare e complessa è quella di Ugo Mulas, espressione di conoscenze e frequentazioni più disparate. Fotografo di artisti e di poeti, di persone e di sentimenti l’occhio infallibile di Mulas coglie scrittori e ambienti, fattorie modello e case private, restituendo un mondo allo stesso tempo reale e incantato, scolpito nel bianco e nel nero, nel forte contrasto, nelle rughe delle persone, nei particolari degli edifici immortalati.
Mulas manifesta sin da giovane un particolare interesse verso soggetti come gli artisti e l’arte: è al Bar Jamaica di Milano, dove ancora studente dell’Accademia di Brera “bivacca” fra quei pittori che per lui sono un po’ colleghi un po’ modelli da emulare, che si ritrova a fotografare quasi per caso. All’inizio non fa altro che ritrarre la propria cerchia di amici e conoscenti. Il suo approccio non è studiato, dunque, ma istintivo, come lui stesso spiega: “Ho sempre avuto, prima istintivamente poi consapevolmente, una tendenza a riprendere quelle cose che sono banali”.
L’aspetto interessante di Mulas, rispetto ai fotografi mostrati fino ad ora, è che il suo sguardo sull’architettura non è voluto, non è una ricerca attenta e filologica, l’architettura per Mulas è in molti casi uno sfondo, un palcoscenico su cui va in scena lo spettacolo della vita, delle persone. Non c’è patina, non c’è volontà dimostrativa o esplicativa, ci sono solo gli edifici nel teatro del quotidiano.

 

BERENICE ABBOT

L’ultimo esempio che riportiamo è quello della fotografa americana Berenice Abbot, la prima in realtà in ordine cronologico, considerando il suo anno di nascita: il 1898. La Abbot si trasferì nei primi anni ’20 in Europa, spostandosi tra Berlino e Parigi, dove divenne l’assistente di Man Ray, dal quale imparò segreti e tecniche fotografiche, acquisendo presto sempre maggiore prestigio e autonomia. In questo periodo si concentrò soprattutto sui ritratti fotografici di letterati e uomini di cultura francesi.
Il suo legame con l’architettura divenne il cardine del suo stile al ritorno in America sul finire degli anni ’20. Da quel momento Abbot decise, infatti, di fotografare in strada per raccontare la vita degli abitanti e i cambiamenti della città di New York, di cui diventò il principale occhio fotografico e una fondamentale memoria storica. Nel 1935 la Abbott si trasferì in un loft al Greenwich Village, con la critica d’arte Elizabeth McCausland, con la quale collaborò a un lavoro sostenuto dal Federal Art Project e pubblicato nel 1939 in forma di libro col titolo di “Changing New York”. Usando una macchina fotografica a grande formato, la Abbott fotografò New York City con grande attenzione ai dettagli e diligenza. La sua opera ha fornito una cronaca storica di molti edifici e isolati urbani oggi demoliti di Manhattan. L’attenzione all’architettura ha, dunque, in questo caso un valore scientifico e storico, che va di pari passo con l’attenzione estetica delle rappresentazioni fotografiche, espressioni in bianco e nero di un’altra epoca della storia dell’architettura e dell’urbanistica.

 

 

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