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Una delle novità di Chora è l’assegnazione del premio “Staff Pick”, ossia il riconoscimento ad un progetto, ad un creativo o ad un’iniziativa che riteniamo socialmente rilevante e attuale.

Lo Staff Pick di metà Ottobre abbiamo deciso di assegnarlo a Tommaso Santambrogio e al suo ultimo film Los oceanos son los verdaderos continentes.

Tommaso Santambrogio ha lavorato con registi di fama internazionale come Werner Herzog, Pupi Avati e Lav Diaz. D’istanti Lontani, il primo cortometraggio di stampo sperimentale realizzato, è stato selezionato ufficialmente da diversi festival internazionali. Dalla collaborazione con Werner Herzog è nato il cortometraggio Escena Final, girato in Amazzonia. Il corto, presentato nella sezione Giovani Autori Italiani al festival di Venezia del 2019, ha preso parte al Toronto Short Film Festival e ha vinto il premio come miglior cortometraggio internazionale all’Oregon Independent Film Festival. Il suo ultimo lavoro, Los Océanos Son Los Verdadores Continentes, è stato invece girato a Cuba in collaborazione con Lav Diaz e ha concorso al festival internazionale di Venezia 2019 nella sezione de La Settimana Della Critica dove ha vinto il premio per la miglior fotografia. La collaborazione con Lav Diaz l’ha portato a collaborare nuovamente sul suo ultimo film nelle Filippine, attualmente in produzione.

Di seguito l’interessante intervista esclusiva che ci ha rilasciato:

Cominciando dal principio: il tuo percorso di studi non è stato sempre strettamente legato al cinema, quando hai capito di voler iniziare una carriera in questo mondo? Come nasce la passione per il cinema e qual è stato il tuo primo “grande amore” cinematografico, che sia esso un film, un genere o un regista in particolare?
Si, è vero, il mio percorso di studi è abbastanza bizzarro e distante rispetto alla classica formazione accademica cinematografica. Ma più passa il tempo più sono convinto che per un ruolo come il regista sia certo molto importante formarsi, studiare, vedere film e stare su set il più possibile, ma che non esista una vera e propria formazione corretta/tecnica. Il regista, soprattutto se si declina come autore, è una persona che ha una visione del mondo, una sua idea e delle sue urgenze e necessità di esprimerle in una determinata forma, e che ha nel film la canalizzazione di tutto questo. Per cui deve sapere un po’ di tutto, di fotografia, suono, sceneggiatura, etc etc.., ma è poi una figura che si costruisce sulla sensibilità individuale, sulla stratificazione del vissuto individuale e sugli incontri che fa. Ci sono registi che non parlano con gli attori, registi che si basano sull’improvvisazione partendo da situazioni definite e non sul testo, altri che non si curano affatto della forma e della fotografia, e altri che curano tutto maniacalmente. 
La mia passione per il cinema nasce fin da bambino. Mi è sempre piaciuta l’arte in generale, evadere dalla realtà e vivere più vite possibili, e il cinema è stato il mezzo più facile tramite cui questo si è reso possibile. Il primo amore cinematografico è stato Woody Allen, che ho scoperto tramite mio padre intorno ai 10 anni, e che mi ha permesso di scivolare lentamente dentro il cinema che ora più amo, quello autoriale e alternativo. Uno dei film che ho visto più volte di conseguenza rimane Manhattan, che rimane uno dei miei film preferiti proprio per questo. 
Ho capito di voler far cinema seriamente quando avevo 21 anni. Ho sempre avuto questo sogno, ma fino ad allora mi sembrava qualcosa di impossibile, di inaccessibile e che sarei stato solo destinato a guardare da lontano. Poi iniziando a fare i primi video, racimolando attrezzatura in giro e studiando per i fatti miei le basi, mi sono lanciato nei miei primi progetti, e vedendo che non erano poi così male ci ho creduto sempre di più.
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Osservando la tua formazione, si nota immediatamente quanti corsi di studio in questo ambito tu abbia fatto. Se dovessi indicare concretamente ad un giovane aspirante cineasta una strada, attraverso le esperienze che tu hai avuto, quale sarebbe il percorso che consiglieresti? 
Se dovessi dare consigli a tal proposito (premesso che io stesso punto ancora a riceverne di consigli), direi di fare più esperienze possibili nelle più disparate realtà. Ciò che fa davvero la differenza è l’esperienza di vita, aprirsi al mondo e “rubare” quanto più possibile, conoscendo più persone possibili. Non viene mai detto quanto in un ambito come quello cinematografico crearsi un network sia fondamentale, conoscere le realtà della propria città, gli altri registi, le associazioni etc etc. Ecco le scuole di cinema hanno questo enorme pregio: ti permettono di entrare in contatto con tantissime persone con la tua stessa passione che desiderano raggiungere i medesimi obiettivi. 
A livello pragmatico per me è stato fondamentale girare il più possibile, dal giornalismo alle pubblicità, per vedere come funzionavano attrezzature e set, e fare workshop di filmmaking (non quelli inutili e costosi di una settimana) in realtà al di fuori dalla tua confort zone, dove sei magari costretto a girare qualcosa in 1 mese o anche meno e ti misuri davvero con cosa hai urgenza di fare ed esprimere e come lo vuoi fare. 
A citare dei nomi direi: EICTV, La Selva, Cinemadamare, Farecinema.
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E cosa diresti a chi vuole intraprendere il tuo stesso percorso?
A chi vuole intraprendere lo stesso percorso direi di buttarcisi a capofitto. Andare a festival, girare, frequentare proiezioni ed eventi, conoscere più persone possibili ed essere pronti a spenderci tutte le proprie energie, perchè altrimenti è davvero dura (ed è qualcosa che continuo a ripetere anche a me stesso).
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Nella tua carriera hai già firmato molte prestigiose collaborazioni, tra queste Werner Herzog, Pupi Avati e Lav Diaz. Ci racconti l’incontro con il regista filippino? Com’è nato e si è evoluto il tuo rapporto con Lav Diaz?
Lav Diaz penso sia stato uno degli incontri più importanti che a livello cinematografico abbia fatto, se non il più importante. Ci siamo incontrati a Cuba, dove si è tenuto il taller internazionale da lui presieduto, e c’è stata subito una grande empatia, a livello artistico quanto umano. Mi ha insegnato ancora di più l’importanza della libertà, creativa e produttiva, e della ricerca della verità artistica dentro di se, scendendo a meno compromessi possibili. Soprattutto se si è giovani cineasti è necessario essere rivoluzionari, osare e ribaltare il tavolo da gioco per seguire la propria voce, se no niente a livello industriale e artistico cambierà mai in Italia, e ora come ora a mio avviso ce ne è un’enorme necessità.
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Veniamo al tuo cortometraggio, Los oceanos son los verdaderos continentes, vincitore del premio alla miglior fotografia nella 34 settimana internazionale della critica al Festival di Venezia. Dove nasce l’idea e cosa ti ha stregato di Cuba? Il soggetto lo avevi già in mente e hai deciso di ambientarlo nel paese caraibico oppure è stata Cuba a ispirarti anche per la storia?
Rispetto a OVC [Los oceanos son los verdaderos continentes] posso dire che l’idea è nata direttamente a Cuba. Avevo un tema che volevo affrontare, che prendendo l’aereo sentivo che avrei sviscerato, e che era quello della distanza. Per il resto le storie, i luoghi, le persone e le letture che ho fatto mentre stavo a Cuba hanno influenzato terribilmente la mia sensibilità artistica portandomi a scrivere e girare questo corto in così poco tempo. 
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Alfonso Cuaron, in un intervista di presentazione di Roma, ha detto: “il bianco e nero fa parte del continuo confronto tra passato e presente, ma non volevo fosse nostalgico e non cercavo un effetto vintage”. Il tuo “bianco e nero” è nostalgico? Come mai lo hai scelto per descrivere questa storia? 
Il bianco e nero è sempre una scelta ardua e che in molti chiedono di giustificare. Per quanto mi riguarda posso dire che mi è sembrata l’unica modalità di catturare Cuba, un posto bellissimo, molto allegro e dannatamente vivo ma allo stesso tempo anacronistico, in rovina, decadente. Ed essendo la nostalgia, declinata in molte forme sempre diverse, un elemento cardine del mio cinema farei fatica a dire che il mi bianco e nero non sia nostalgico (anche se non è questa la motivazione che mi ha indotto a sceglierlo).
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Qual è l’insegnamento o il consiglio che ti è servito di più in questi anni?
l’insegnamento che più mi è servito in questi anni è: inventati la tua strada e non badare alla forma, ai percorsi “giusti” etc etc. L’arte non è una formula, cerca di fare ciò che ti fa stare bene con te stesso e vedrai che si rivelerà la scelta giusta. 
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Per concludere, puoi dirci qualcosa dei tuoi prossimi progetti?
Rispetto ai prossimi progetti posso dire che come molte persone che fanno questo lavoro ho sempre molti progetti in fase di sviluppo: sto portando avanti un lavoro ambientato tra le filippine e NY e sto pensando ai possibili sviluppi del progetto cubano presentato a Venezia. 
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Ringraziamo ancora Tommaso Santambrogio per la disponibilità e la gentilezza nel rilasciare questa intervista. 
P.s. Se vuoi seguire i progetti di Tommaso o scoprire qualcos’altro su di lui, visita il suo sito ufficiale: www.tommasosantambrogio.com
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