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Ciao Emanuele, noi di Chora oltre ad averti conosciuto personalmente abbiamo avuto anche il piacere di collaborare insieme a diversi progetti. Cosa ti ha spinto a dedicarti a tematiche ambientali?

Devo dire che il mio interesse verso le tematiche ambientali è nato pian piano e abbastanza inconsapevolmente. Se dovessi individuare cosa mi ha spinto a interessarmene, direi che essere nato e vissuto in un piccolo paese della provincia mantovana, in mezzo alla campagna, è probabilmente stato il punto di partenza. Spesso con i miei genitori capitava di fare passeggiate nei campi o gite in bicicletta lungo il fiume.
Andando poi in montagna mi sono accorto di quanto siamo strettamente collegati con l’ecosistema in cui viviamo. Da qui un interesse, se non una sorta di esigenza di dedicarmi alle tematiche ambientali.
Quando con Chora ci siamo incontrati la prima volta per lavorare su un progetto, già vi conoscevo perché seguivo la vostra pagina web e i social. Da utente apprezzavo la qualità dei contenuti e ne ho fin da subito sposato le idee di fondo che sostengono l’associazione. Per questo quando mi avete proposto di collaborare non ho avuto difficoltà ad accettare.

Il mondo dell’arte e della creatività che impatto può avere in un tema ampio e spinoso come quello ambientale?

L’arte può avere un ruolo di denuncia e portare le persone ad agire concretamente in un determinato modo.
Penso ad esempio al fotografo Sebastião Salgado, che per anni ha girato il mondo raccontando il disastro ambientale causato dagli incendi ai pozzi petroliferi in Kuwait o l’importanza e la bellezza dell’ecosistema nella foresta amazzonica, decidendo poi concretamente di ripopolare ettari di foresta pluviale in Brasile.
Oppure la foto di due pappagalli in volo, scattata da Joel Sartore, e finita sulla copertina del National Geographic. Quel numero della rivista si intitolava “Madidi: will Bolivia drown its new national park?” e quella storia di copertina aiutò la Bolivia a rivedere i piani di costruzione di una diga che avrebbe sommerso parte di una foresta incontaminata.

 

Sappiamo che come professione rivesti più ruoli: sei dronista, operatore ed anche colorist. In quale di questi tre ruoli ti senti più a tuo agio? Ti piace l’idea di ricoprire più mansioni o vorresti specializzarti in una sola?

Mi piace l’idea di diversificare il tipo di ruolo che rivesto e magari alternare un lavoro più sedentario come può essere quello di colorist a qualcosa di più dinamico. Diciamo che in futuro mi piacerebbe specializzarmi soprattutto nella color correction, continuando comunque a fare l’operatore.

 

Come ti sei avvinato a questo mondo? Sei autodidatta o hai seguito un percorso di studi?

Ho iniziato ad appassionarmi al video perché da ragazzino mi piaceva l’idea di documentare i posti dove andavo. Facevo più che altro fotografie. Poi a un certo punto ho sentito il bisogno di avvicinarmi al video e ho deciso di seguire un percorso di studi che potesse insegnarmi il modo con cui i professionisti lavorano sul set. Ho così fatto le scuole civiche a Milano, specializzandomi come operatore video e direttore della fotografia.

 

Ci sono fotografi o filmmaker che ti hanno influenzato?

Apprezzo molto William Eggleston per la capacità di trovare la bellezza negli oggetti di uso quotidiano, che siano fast food o automobili, raccontando molto più di quello che in apparenza le cose che ci circondano sembrano dirci. Poi anche Alex Prager, Gregory Crewdson ed Eugenio Recuenco per le loro messe in scena cinematografiche e la capacità di condensare una storia in una fotografia.
Per quanto riguarda i filmmaker posso dire che in passato ho trovato geniale Kubrick. Oggi trovo dei punti di riferimento inarrivabile Scorsese, Iñarritu e Paul Thomas Anderson.

 

Quali sono le doti principali che richiedono secondo te le professioni creative e artistiche?

Penso che una qualità importante sia avere qualcosa da comunicare. Il problema di oggi ritengo essere l’eccessivo tecnicismo legato a una particolare macchina fotografica o a un software. Certo, è imprescindibile in molte professioni artistiche approcciarsi con la tecnica, ma il rischio di venirne risucchiati è forte. L’importante è dominare il mezzo, conoscerlo a fondo e sfruttarlo per raggiungere il proprio obiettivo.
Alla base di tutto sta sicuramente questo, ciò che si vuole dire agli altri. Un film girato con le migliori macchine da presa in commercio può essere più deludente di un film girato con una mirrorless. A mio avviso è solo quando c’è una forte idea di fondo e questa viene raccontata nel giusto modo e con i mezzi adeguati che si ottiene qualcosa di efficace.
Un’altra qualità che ritengo importante è quella di restare fedeli a se stessi e alla propria idea. Ci vuole una chiarezza di intenti prima di iniziare un qualsiasi progetto e poi cercare di rimanerne il più vicini possibile. Certo, gli imprevisti esistono e fanno parte del gioco, ma la forza creativa sta anche nel saperli adattare alle proprie esigenze.

 

Cosa consiglieresti ad un giovane che si avvicina a questo mondo per lavorare? 

Consiglierei di fare un lavoro su se stessi per capire e distinguere cosa vogliono fare e ciò per cui sono portati. Credo ci sia una sostanziale differenza e non sempre le due cose coincidono. Una volta individuato il proprio obiettivo, di seguirlo “a capo fitto”, dedicandoci più tempo possibile. Perché se è vero che il talento innato è per certi settori creativi indispensabile, è solo con il continuo esercizio che si può migliorare. Per quel che mi riguarda deve esserci un misto tra lo stress durante la realizzazione di un progetto e la soddisfazione (che comunque non sempre arriva) per il risultato.

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