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Ciao Lorella, quando e come è iniziata la tua carriera?

Il mio sogno nel cassetto era da sempre studiare per poter diventare attrice e quindi tutto è cominciato con un corso di dizione, poi l’Accademia dei Filodrammatici e quindi le prime esperienze teatrali. Al doppiaggio sono arrivata molto più tardi quasi per caso. Sono partita facendo alcuni speakeraggi e cominciando a sperimentare il microfono, e a quel punto ho pensato che il doppiaggio potesse essere una buona via intermedia tra l’uso della voce, alcune competenze tecniche e la recitazione. Non ho fatto corsi di doppiaggio, perché avendo già una base attorale ho potuto andare direttamente nelle sale e acquisire il mestiere ascoltando e osservando i doppiatori e cominciando con graduali tentativi.  

Hai sempre pensato di voler fare la doppiatrice? Come ti sei approcciata a questo mondo?

Ho sempre ammirato molto il lavoro dei doppiatori ma inizialmente, come dicevo, volevo sperimentare il mondo della recitazione nella sua interezza, voce, corpo e anima. Dovevo capire se, oltre alla passione, avessi realmente il talento per poterlo fare e desideravo provare a interpretare personaggi su un palcoscenico. La curiosità per il doppiaggio è arrivata dopo aver scoperto il microfono e le numerose sfaccettature del lavorare con la voce. Di fatto considero il doppiaggio una sorta di specializzazione del lavoro attorale.  

C’è una persona, un maestro/a che senti di dover ringraziare?

Una persona a cui devo moltissimo è stato Gabriele Calindri, attore, regista, doppiatore e direttore di doppiaggio nonché oggi grande amico. Gabriele è stato uno dei primi direttori di doppiaggio che ho conosciuto frequentando le sale milanesi e con l’umanità che lo contraddistingue e la sua grande esperienza mi ha accompagnato gradualmente, dandomi l’opportunità di seguire i turni e facendomi pian piano esercitare su piccoli ruoli fino ad affidarmi personaggi piú complessi. In seguito, altri colleghi mi hanno sostenuto e aiutato, ma in quella fase cosí delicata del primo approccio, quando accostarti al microfono ti fa tremare le gambe e la voce, Gabriele ha saputo darmi coraggio e concrete opportunità di mettermi in gioco. 

Cosa consiglieresti a chi si sta approcciando a questo mondo?

Il mio consiglio è di cominciare studiando recitazione e sperimentando le tecniche teatrali perché è solo affinando le proprie capacitá interpretative che puoi dar voce all’ interpretazione di un altro attore.  Poi certamente occorre studiare le tecniche specifiche del doppiaggio, oggi piú facilmente facendo un corso vero e proprio visto che raramente è possibile assistere ai turni imparando il mestiere direttamente nelle sale come ho avuto la fortuna di fare io. Ma il teatro è un’ottima palestra per arrivare davanti a un microfono consapevole di dover essere molto di piú che una voce, ma un attore in grado di restituire solo con la voce le mille sfumature di una complessa interpretazione fatta di gesti, sguardi, dialoghi e grandi emozioni. 

Ci racconti un aneddoto capitato in cabina?

In questi anni si sono create tante situazioni, per lo piú divertenti. Ricordo un brusio di un film in cui dovevamo ripetere urlando per parecchio minuti ‘Succhia! Succhia! Succhia!’ Era uno strano film horror di cui non ricordo altro che quella scena. Eravamo in due (ero proprio in sala con Gabriele Calindri) ma dovevamo sembrare mille e la scena non finiva mai. Ad un certo punto, sfibrati, abbiamo fatto l’errore di scambiarci un’occhiata e a quel punto ci siamo resi conto di sembrare talmente ridicoli da non riuscire piú ad andare avanti. Abbiamo cominciato a ridere come pazzi e abbiamo dovuto interrompere un attimo perché non riuscivano piú a smettere.  

Qual è stato il tuo ruolo preferito?

Tra gli ultimi fatti, ho amato particolarmente il ruolo di Candice Renoir nell’omonima serie. Doppio questo personaggio da qualche anno perché è una serie che tutte le estati ritorna e forse proprio per questa familiaritá ormai lo sento molto mio e me lo godo pienamente. In generale, anche se doppiare i cartoni animati mi diverte molto e mi permette di essere creativa e di caratterizzare, amo dare voce agli ‘umani’ perché mi permette di immedesimarsi di piú e di cercare la spontaneità e veritá che occorre dare ad una interpretazione che risulti credibile. Ma il bello di questo lavoro è proprio la varietà dei personaggi che hai la possibilitá di incontrare e ognuno ti insegna qualcosa e ti permette di sperimentare le tue diverse sfaccettature e possibilità. 

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